Ho letto con maggiore attenzione l’articolo dello staff dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) pubblicato su Lancet il 30 giugno.
https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(22)01185-0/fulltext
Si conferma la prima impressione che l’efficacia del vaccino COViD-19 nei
bambini sia modesta, al di sotto della rilevanza clinica. L’analisi,
metodologicamente più corretta di quelle pubblicate sul bollettino, ha permesso
di eliminare il dubbio che l’efficacia fosse negativa, ma ha confermato il
fatto che il risultato negativo in realtà semplicemente mascherava una
sostanziale mancanza di efficacia. Contrariamente a quanto dichiarato dagli autori non pare evidente che ci sia una differenza rilevante tra bambini (5-11) e giovani adulti (12-39) per quanto riguarda l'efficacia. Questa affermazione andrebbe dimostrata.
Dice ISS:
«La vaccinazione contro COVID-19 nei bambini
di 5-11 anni in Italia ha mostrato una efficacia minore nel prevenire
l'infezione da SARS-CoV-2 e il COVID-19 grave rispetto a quella osservata con
lo stesso vaccino in persone di età pari o superiore a 12 anni. L’efficacia
contro l'infezione sembra diminuire dopo il completamento del ciclo primario di
vaccinazione.»
L’efficacia contro il contagio e contro la malattia severa nei bambini che è
stata misurata nello studio di ISS recentemente pubblicato su Lancet è
inferiore non solo alle aspettative, ma anche ai valori che sono comunemente
considerati minimi per la rilevanza clinica.
Utilizzando i dati grezzi pubblicati settimanalmente da ISS si era osservata
un’efficacia negativa. Negativa perché l’incidenza di eventi tra i vaccinati è superiore
a quella tra i non vaccinati. Questo si ottiene utilizzando la stessa
metodologia che consente a ISS di affermare che, per esempio, «L’efficacia del vaccino (riduzione
percentuale del rischio nei vaccinati rispetto ai non vaccinati) nel periodo di
prevalenza Omicron (a partire dal 3 gennaio 2022) nel prevenire casi di
malattia severa è … pari a 68% nei vaccinati con ciclo completo da meno di 90
giorni, 68% nei vaccinati con ciclo completo da 91 e 120 giorni, 70% nei
vaccinati che hanno completato il ciclo vaccinale da oltre 120 giorni, e 86%
nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster.».
ISS ha fortemente criticato questo approccio, che peraltro esso stesso continua a seguire, affermando correttamente che si tratta di popolazioni diverse non direttamente confrontabili. Pur non condividendo il tono dello scritto: “Fake News”, ‘FALSO”, epiteti che si possono attribuire esattamente nello stesso modo a quanto scritto nel bollettino settimanale ISS, ne condivido i principi. Le popolazioni di vaccinati e non sono appunto popolazioni diverse e non campioni da un'unica popolazione che differiscono solo per il trattamento che viene attribuito casualmente e in cieco (le persone trattate e coloro che le curano non sanno quale sia il trattamento); quindi non si possono usare i metodi statistici propri degli esperimenti clinici.
Una
delle critiche di ISS era che tra i non vaccinati ci fossero numerosi soggetti immunizzati
non dal vaccino, ma da una precedente infezione.
Come chiediamo (non solo io) da tempo, ISS ha fatto un’analisi che tiene conto
non solo di questo fattore, ma anche della fragilità dei soggetti. Purtroppo,
questa analisi riguarda solo i bambini, ma la vediamo come un buon inizio.
Il limite più grande è che, senza motivo apparente, si tiene conto dei dati fino ad aprile, mentre ovviamente sono disponibili dati molto più aggiornati. Con le risorse umane di ISS si sarebbe potuto fare di molto meglio. È vero che la pubblicazione di un articolo su Lancet richiede tempo, ma ai cittadini italiani non interessa Lancet quanto indicazioni basate su dati contemporanei. Che sia dovuto alle varianti o ad altro l’efficacia dei vaccini misurata sui dati grezzi è cambiata nel tempo e i dati di gennaio-aprile potrebbero essere considerati “vecchi” e vista la tendenza in diminuzione l’efficacia potrebbe essere sovrastimata rispetto alla situazione odierna.
Un grande vantaggio dello studio sui bambini è che finalmente si escludono i soggetti con pregressa infezione eliminando un fattore di confondimento e si fanno tre analisi di sensitività, tra cui una in cui si tiene conto della fragilità dei soggetti.
Questa scelta produce finalmente una valutazione positiva dell’efficacia aggiustata per questi importanti fattori di confondimento. L’efficacia negativa ottenuta dai dati grezzi anche se probabilmente gravata da vizio di selezione, causava dei forti mali di testa a chi, probabilmente essendo debole in matematica, non riusciva a capacitarsi che il risultato di una formula in certe condizione desse un risultato negativo.
Nell’analisi
primaria vediamo quindi un’efficacia modesta, ma positiva del 29,4% per il
contagio e del 41,1% per la malattia severa. Gli autori forniscono anche
intervalli di confidenza che pur non essendo interpretabili in senso proprio,
forniscono un’idea dell’attendibilità delle stime. Per l’efficacia contro la
malattia severe questa attendibilità è parecchio bassa visto il numero
piccolissimo di eventi.
Per entrambi gli eventi, contagio e malattia severa, l’efficacia risulta ben al
di sotto del valore minimo considerato clinicamente rilevante per esempio
dall’FDA nelle sue linee guida (https://www.fda.gov/media/139638/download) che nelle considerazioni
statistiche recita.
“Per
garantire l'efficacia di un vaccino COVID-19 ampiamente diffuso, la stima
dell'endpoint di efficacia primaria in uno studio di efficacia controllato con
placebo deve essere almeno del 50% e il criterio di successo statistico deve
essere che il limite inferiore dell'intervallo di confidenza adeguatamente
corretto con alfa intorno alla stima dell'endpoint di efficacia primaria sia
>30%.”. Né una né l’altra di queste condizioni è verificata.
Confrontando la nuova analisi giustamente considerata più corretta rispetto a
quella basata sui dati grezzi, vediamo che in relazione a questi ultimi il
risultato non è eccessivamente diverso per la malattia severa al tempo dell’analisi
che era 39,3%. Il dato dell’efficacia contro il contagio calcolato sui dati
grezzi senza aggiustamenti invece era moderatamente negativo -25,3%.
È molto interessante la lettura dei risultati delle analisi di sensitività,
purtroppo un po’ “nascoste” nel supplemento, che pochi leggono.
Qui gli autori hanno studiato tre modelli alternativi:
Modello-1: includendo i soggetti con infezioni che hanno preceduto la
vaccinazione.
Modello-2:
escludendo le persone con infezione da SARS-CoV-2 diagnosticata nei 90 giorni
precedenti
Modello-3:
effettuando un'analisi di sensibilità stimando l'efficacia del vaccino sulla
popolazione vaccinata, includendo lo stato di fragilità (sano,
immunocompromesso o affetto da una patologia cronica) come covariata
aggiuntiva.
I
risultati sono tutti compatibili con quelli dell’analisi primaria. In
particolare, l’efficacia misurata con il modello-3, 21,8% per il contagio e 44,1% per la malattia
severa, indicano come possibile frutto di fantasticheria l’ipotesi ventilata da
molti che la distribuzione dei soggetti fragili ritenuti in eccesso tra i
vaccinati mascherasse un’efficacia molto superiore a quella apparente.
Contrariamente
a quanto indicato nelle conclusioni, l’efficacia misurata nei soggetti di 5-11
anni non appare rilevantemente minore di quella che si osserva nella classe di
età successiva 12-39 anni. I parametri calcolati sui dati grezzi appaiono molto
simili a quelli dei bambini di 5-11 anni; quindi, si può ritenere che anche
un’analisi metodologicamente più corretta sui soggetti di 12-39 anni darebbe
risultati similmente deludenti anche in questa classe di età.
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